“Non so cosa dire”: il blocco del freelance

da | Set 26, 2023 | Branding, Strategia | 0 commenti

Sono abbastanza certa che questa frase l’abbia pronunciata anche tu, almeno una volta nella tua carriera. E sono anche certa che, assieme a questa frase ne abbia pronunciate altre come:

hanno già detto tutto, io non ho nulla da aggiungere,

non ho nulla di interessante da dire,

su questa cosa non ne so abbastanza,

parlano tuttə di qualcosa che dovrei sapere ma non mi sento preparatə e allora non dico nulla,

non mi piace scrivere sui social,

sono una persona riservata, non mi piace parlare di cose mie sui social.

 

La lista potrebbe continuare, perché queste e altre sono frasi che ho sentito molte volte da clienti, colleghə e qualcuna l’ho detta anche io.
Il punto, però, è uno solo: che sono tutte cose false che ci diciamo per autosabotarci. Il problema non è (quasi) mai che non sappiamo cosa dire o che non ne sappiamo abbastanza. Il nodo da sciogliere sta più a monte e talvolta è uno solo, altre volte più di uno.

Facciamo ordine: perché è importante sapere come comunicare e cosa?
E poi, dove sono i famosi nodi da sciogliere, cioè le motivazioni che ci fanno pensare di non avere nulla da dire?

 

 

 

Se non comunichi, non esisti

Un po’ dramatic, direbbero oltreoceano, ma non troppo distante dalla verità. Se hai una Partita Iva, che tu ti definisca o aspiri a essere freelance, solopreneur, creativepreneur, start-up, artigianə o altro ancora, devi creare una rete intorno a te. Devi essere visibile, in qualche modo. Le persone intorno a te, colleghə o clienti, devono sapere chi sei e cosa fai.
Che sia una rete di persone e realtà business con cui collaborare, che sia un’agenzia per cui offrire i tuoi servizi da freelance purə, che siano clienti potenziali, ogni rete va creata e coltivata anche grazie alla comunicazione.

 

Comunicare non è solo content, non è solo online

Attenzione: non sto dicendo che debba comunicare per forza online, tanto meno che tu debba fare post o contenuti uguali a quelli che già esistono. Al contrario, dovresti trovare quelle che sono le tue modalità comunicative più adatte, e se integrano online e offline secondo me è la cosa migliore in assoluto.
Oggi la competizione è tanta, siamo anche in un momento di grandi trasformazioni dovute alla velocità con cui si evolvono le tecnologie intorno a noi, a partire dalle famose intelligenze artificiali. Paradossalmente, anche grazie alle IA creare contenuti oggi è più semplice che mai, siano essi online o testi per una brochure da consegnare a mano.
Proprio per questo, non trovare un angolo da coltivare con la propria presenza, non condividere nulla sul proprio approccio, le proprie capacità o esperienze, rischia di tagliarti fuori. Di renderti invisibile, come se tu non esistessi. Ma noi questo non lo vogliamo, giusto?

un mucchietto di lettere di plastica bianche, sulle quali sono appoggiate 4 lettere a formare la parola what, che in italiano significa cosa

Immagine di Vadim Bogulov, via Unsplash

 

Davvero pensi di non aver nulla da dire?

Sarò schietta, mi perdonerai: non è vero che non hai nulla da dire.
Non è vero che non hai alcun contributo di valore da apportare al dibattito su un tema.
Non è vero nemmeno che gli altri (ma chi?) sono sempre più bravə/preparatə/espertə di te.

Ti auto-saboti (ci auto-sabotiamo) spesso perché non hai chiari uno o più elementi della tua presenza professionale su un mercato. La confusione porta a una mancanza di consapevolezza e strategia che scambiamo per scarsa autostima, per incapacità, per timidezza e molto altro. La paura ci immobilizza e restiamo a guardare le altre persone, nostre competitor, che si muovono tra palchi di eventi, un’attività in crescita, contenuti sui social, libri scritti e la loro promozione.
E talvolta proviamo inadeguatezza, se non invidia: succede a moltissime persone, perciò non te ne vergognare se è successo anche a te.

In tutto ciò, la mia esperienza su di me e su diversi clienti mi ha insegnato che il problema non è mai, mai, mai il non avere nulla da dire. Piuttosto sta tutto in uno o più aspetti che ti racconto qui.

 

 

Non sai a chi stai parlando

Non conosci il tuo target o, come piace dire a me, le tue persone.
Magari hai anche fatto il profilo delle tue personas (e se non lo hai fatto o non sai cosa sono, qui ti racconto cosa sono target e personas) ma poi non hai fatto analisi per capire se il tuo pubblico è effettivamente quello. Se i bisogni, le necessità, i sogni e le aspirazioni delle tue persone sono reali, se si evolvono, se hanno un timore che prima non avevano o un nuovo tema caldo di cui parlano.
Non conosci i punti di contatto con le persone a cui vorresti rivolgerti. Come quando entri in una stanza dove non conosci le persone: non sai di cosa parlare con loro. Anche in quel momento ti sembra di non avere nulla da dire, non certo perché tu non abbia argomenti ma perché non sai quali siano quelli di comune interesse. Appena scopri quali argomenti incontrino la curiosità o le necessità di quelle persone, sono più che certa che cominceresti a parlarne.

La tua offerta non è chiara

Ti proponi sul mercato come copywriter ma offri anche servizi di grafica, o magari siti web.
Sei un nutrizionista specializzato in intolleranze alimentari ma offri servizi generici per tanti tipi di esigenze nutrizionali diverse.
Sei una personal trainer con diverse specializzazioni (pilates, yoga, calisthenics) che rispondono a esigenze funzionali diverse, talvolta anche molto diverse tra loro.
Insomma, non è chiaro ciò che offri alle tue persone, che beneficio porti loro, che tipo di problemi risolvi, a quali aspirazioni e sogni dai risposta o sostegno. Le persone non sanno con precisione perché rivolgersi a te.
Oltre la verticalità di un servizio, può anche essere che l’offerta non sia chiara perché non allineata ai valori che porti avanti. Se tra i tuoi valori c’è la condivisione ma i tuoi prodotti o servizi non permettono di essere condivisi o creare condivisione con le persone, sarà difficile trovare un gancio per raccontare questo aspetto.
Non avere un’offerta chiara può accadere per molti motivi, di solito risolvibili, ma è normale che ci sia indecisione da parte tua nel trovare argomenti da condividere. Un’offerta molto ampia o poco specializzata può sembrare più vantaggiosa perché rende più ampio anche il bacino di argomenti da trattare. La verità è che il risultato può essere che parli di cose molto diverse tra loro, che rispondono a esigenze disparate e questo crei confusione, o peggio: la paralisi totale perché, in effetti, non sai bene cosa dire in questo marasma di potenziali argomenti.
In questo caso, più che non avere nulla da dire, forse ce ne sarebbe troppo.

 

un piccolo gruppo di persone giovani, di diverso genere e provenienza, che si confronta, collabora e sorride

Immagine di Brooke Cagle, via Unsplash

 

 

Non sai quali valori e quale scopo muova il tuo lavoro

Mettiamo che l’offerta sia chiara e non dispersiva o poco caratterizzata dal punto di vista tecnico. Non sempre questo basta, specie se parliamo di servizi.
Oggi la concorrenza è tanta, praticamente su tutto. Dire che vendi servizi di copywriting, percorsi di nutrizione per le intolleranze alimentari o corsi di pilates può non bastare più. La concorrenza si muove solo sul prezzo al ribasso o sulla prossimità di un servizio e diventa un gioco al massacro.
Spesso ciò che fa percepire alle persone che tu puoi risolvere davvero il loro problema è mettere in campo ciò che sostiene, spinge, magari ha proprio dato il via alla tua professione.
Lavorare sui valori, sulla tua visione, sullo scopo (che forse hai già sentito nominare come purpose) è strategico per ogni livello del tuo business: ti aiuta a formulare un’offerta strategicamente rilevante, a posizionarti in modo unico ed efficace e perciò a comunicare con uno stile, degli argomenti e una storia di marca coerente e rilevante.
So che per molte persone sembrano aspetti poco tangibili se non perfino inutili, ma non è affatto così. E, più di tutto, mi preme ricordare che non è qualcosa su cui lavorano solo le grandi aziende.

Non conosci i competitor

Se l’analisi del target, delle tue persone, è importantissima, non da meno lo è l’analisi di quelle attività che puoi considerare competitor. Lo studio dei competitor non è sempre semplice, perché presuppone che tu sappia bene quali sono i bisogni che risolvi, i sogni che soddisfi. Questo è il terreno sul quale muoverti per sapere chi considerare concorrente, non per forza è chi ha il tuo stesso titolo o vende un prodotto simile al tuo.
Se hai una boutique che vende abiti artigianali di brand italiani, il tuo competitor non è il vicino punto vendita della grande catena tipo Zara, e nemmeno il mercato rionale della zona, solo perché vendono abiti e accessori. Piuttosto, potrebbe essere un competitor una boutique simile di un’altra città che però ha attivo l’e-commerce, quindi anche l’acquisto a distanza. O altri brand artigianali che non hanno un punto vendita fisico fisso, ma hanno un ottimo e-commerce.
I fattori da considerare qui sono l’esperienza in negozio e il customer care, la ricercatezza e la storia che ogni capo racconta, prima ancora che il capo in sé e per sé.
Va da sé che diventa più semplice capire su quali argomenti puoi puntare per raccontare ciò che fai e fare colpo sulle persone che vuoi raggiungere. Molte ti sceglieranno più per il tuo approccio, che preferiscono a quello di un competitor e questo vale soprattutto se offri servizi e il tuo lato umano fa la differenza.

Non hai mai lavorato su uno stile tutto tuo

Un po’ una conseguenza dei punti elencati finora è lavorare su uno stile personale riconoscibile.
Conoscere i propri valori, lavorare sul proprio scopo più ampio rispetto al solo fatturato, sapere chi sono le proprie persone e che bisogni hanno, di cosa parlano, cosa le preoccupa e cosa le rende felici, capire in che tipo di mercato ci muoviamo sono aspetti determinanti anche per trovare uno stile riconoscibile.
Spesso, infatti, non è detto che per farci notare dobbiamo scrivere post “impegnati” su LinkedIn, fare un reel che sfrutta la viralità di una canzone su Instagram, fare un balletto su TikTok (a proposito: mi sa che vanno molto meno di moda, per fortuna!) o altro che vediamo fare. Non è detto nemmeno che dobbiamo fare le stories parlate, dei video YouTube o andare a fiere di settore dove “vanno tutti” a fare le cose che “fanno tutti”.
Trovare il proprio stile comunicativo è un percorso in divenire, secondo me, non è mai – o quasi – definitivo e il bello sta proprio qui. C’è chi si esprime perfettamente con fotografie cariche di suggestioni, chi scrive bene, chi invece in video riesce a dare il meglio di sé. Ogni professionista ha il suo linguaggio e la sua dimensione, ma deve saper trovare sia l’uno che l’altra, per far eccellere il proprio valore e veicolare in modo davvero autentico ed efficace i propri temi.

 

Questi e altri motivi sono perfetti per bloccare molti brand, personali e non, e impedire una comunicazione di valore, strategica, rilevante.

  • Tu conosci le tue persone?
  • La tua offerta ti sembra chiara e che risponda a bisogni specifici?
  • Conosci i tuoi valori, il tuo scopo?
  • Sai chi è la tua concorrenza, oggi, sul mercato?
  • Hai mai pensato di lavorare sul tuo stile?

Se la risposta ad almeno uno di questi punti è no oppure non lo so, iscriviti alla newsletter perché ci sono in arrivo delle novità che potrebbero interessarti.

Maria Elena Marras

Maria Elena Marras

Branding & Copywriting

Sono Maria Elena, mi prendo cura del tuo brand con strategia, contenuti e parole.
Con branding e copywriting aiuto le realtà medie, piccole e piccolissime a dichiarare al mondo chi sono, cosa fanno e, soprattutto, come lo fanno.

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