Sono certa avrai già sentito parlare di brand, forse fin troppo.
Con questo post non voglio darti definizioni, tantomeno trucchi e ricette preconfezionate. Vorrei piuttosto partire da una domanda. Anzi, vorrei che tu partissi da una domanda: perché mi serve un (lavoro sul) brand?
Tra le molteplici motivazioni che possono rispondere a questa domanda, non ho certo la pretesa di darti quella definitiva. Mi sento, però, di suggerirti dei motivi che sono validi in ogni fase di un business. Sì, perché il lavoro sul brand non si fa una volta e poi ce ne possiamo scordare, piuttosto dovrebbe attraversare la vita di un progetto imprenditoriale, di un’organizzazione, di un solopreneur, perché ne accompagni l’evoluzione e la crescita sostenibile nel tempo.
Ciò che mi ha spinto già da tempo a usare gli strumenti del branding per accompagnare i progetti che seguo, è che ci credo profondamente, oltre a delle ragioni puramente strategiche e funzionali, naturalmente. Ti racconto quali sono quelle che per te sono, senza dubbio, più importanti.
Ecco alcuni motivi per cui un lavoro sul brand, oggi, fa davvero la differenza.
Un brand si fa notare
Lavorare sul brand significa concepire e manifestare un’identità forte. Non basta, quindi, che tu che hai un piccolo business sappia chi sei, è necessario lavorarci più nel profondo e soprattutto renderlo manifesto, comunicarlo, veicolare la tua identità in modo strategico, coerente nel tempo e costante.
Questo è il modo migliore per:
- farti notare da un nuovo pubblico,
- farti riconoscere da chi invece è già cliente,
- farti scegliere grazie a un legame che va oltre la tua offerta.
Che tu abbia la gelateria di quartiere o un’azienda tessile che esporta anche fuori confine, uno studio professionale o un progetto da solopreneur non cambia. Devi comunque farti notare, essere riconoscibile sul mercato, far capire alle persone perché devono scegliere proprio te e non la concorrenza.
Mettiti per un attimo nei panni di cliente: quando scegli uno shampoo, un paio di scarpe o un servizio di consulenza, cosa scegli?
Te lo dico io: scegli nella maggior parte dei casi ciò che già conosci e quando scegli la novità è perché si presenta come autorevole, affidabile, interessante. Ti fa una promessa e te la racconta, ha una veste curata e credibile, delle caratteristiche che vanno oltre gli ingredienti, i materiali o le specifiche tecniche. Scegli (scegliamo) ciò che è più affine alle nostre esigenze, ai nostro valori, all’immagine di noi che vogliamo coltivare per noi e per le persone intorno a noi. Scegli (scegliamo) anche ciò di cui troviamo più riferimenti e racconti, online e offline, perché ci rassicura poter conoscere la storia che il brand racconta e che raccontano le persone che lo scelgono.
Con il tuo progetto imprenditoriale dovresti fare lo stesso ragionamento, mettendoti nei panni delle tue persone.
Lavorare sul brand non significa vendere o fare adv: significa costruire una relazione solida e autentica con il pubblico di persone che ha bisogno di ciò che fai. Questo ti garantisce un pubblico di clienti che torneranno nel tempo. E che un nuovo cliente sia più oneroso in termine di costi di acquisizione che un cliente che già hai, è una regola che sappiamo bene, giusto?
Un brand si distingue
Nel 2020 Google ha introdotto il concetto di Messy Middle,¹ che mette in discussione il processo di acquisto che fino a oggi abbiamo pensato fosse l’unico valido soprattutto online, cioè il funnel.
Messy Middle significa letteralmente centro caotico, cioè significa che le persone oggi non seguono più in modo lineare il processo di acquisto. Se prima, come utenti e potenziali clienti, seguivamo un percorso più diretto dal momento in cui pensavano a un prodotto da comprare o una scelta da fare, fino all’effettiva conversione, oggi non è più così.
Per capirci, dal momento in cui magari vedevamo un annuncio adv sui social fino al momento in cui quell’adv lo seguivamo davvero, cliccandoci sopra e mettendo mano al portafogli, c’erano meno passaggi e perciò più conversioni. Oggi, anche se vediamo un’adv o veniamo a contatto con un brand, non è detto che lo acquistiamo subito anche se ci piace.
Da qualche anno a questa parte, le rilevazioni dei grandi del tech ci dicono che invece noi in veste di clienti andiamo a cercare notizie, impressioni, dettagli su un brand piuttosto che un altro. Prima di decidere se acquistare può passare diverso tempo, tempo in cui valutiamo, confrontiamo, esaminiamo: stiamo cercando un legame ulteriore con quella marca, che ci faccia dire che sì, è proprio ciò che stavamo cercando.
I dati di Google ci dicono anche di più, cioè che le persone cercano sempre più il prodotto o servizio migliore, non il più economico.
Ecco il perché di tanti giri e confronti, prima di scegliere: il prezzo è solo una delle variabili che le persone considerano quando scelgono. Se dipendesse solo da quello, sarebbe molto più facile.
Oggi la scelta che abbiamo è molto ampia praticamente su ogni fronte, perciò ogni potenziale cliente sceglie sulla base di criteri diversi rispetto solo a pochi anni fa. Ed è proprio qui che entra in scena un lavoro sul brand.
Il brand, il lavoro su mission e vision, sul purpose, su un’offerta che esalti i valori di una marca, uno storytelling multicanale e complesso che sia all’altezza di ciò che le nostre persone vogliono, sono alcuni degli elementi che permettono al tuo lavoro di distinguersi in questo giro molto largo che le persone fanno quando scelgono.
Le persone oggi vogliono entrare in relazione con la marca che acquistano, con le figure professionali a cui si affidano. Non vogliono solo sapere il prezzo di un prodotto, vogliono sapere perché quell’azienda ha scelto un materiale anziché un altro, quale storia ha ispirato un determinato prodotto o servizio, qual è la promessa che la marca fa se noi come persone acquistiamo ciò che ci offre.
Non lavorare su questi aspetti significa rinunciare a crescere, talvolta anche avere vita breve sul mercato.
Un brand sceglie in modo consapevole e strategico
Rovesciamo la medaglia, adesso: non parliamo di farsi scegliere da un pubblico, ma di scegliere.
Usare gli strumenti del branding spesso sembra essere qualcosa di poco tangibile, perché parlare di valori di marca, di purpose, di personalità e archetipi sembra qualcosa di poco concreto.
La verità è che sono tutti strumenti che permettono a un’impresa di:
- fare scelte strategiche nel lungo periodo,
- di posizionarsi sul mercato,
- di avviare una relazione autentica e profonda con le persone.
Avere chiara la visione del mondo che vogliamo contribuire a creare come brand ci aiuta a prendere decisioni strategiche in tal senso e su tutti i livelli del business. Conoscere la nostra brand personality e le sue sfumature ci consentirà di farla emergere in ogni dettaglio: dal naming agli argomenti scelti per la comunicazione, dalla storia che portiamo dentro uno spot alla stesura di un brand manifesto, da una tipologia di evento sul territorio a una nuova linea di prodotti o un nuovo servizio.
Abitiamo l’era del marketing human to human, non possiamo più permetterci di pensare che se produciamo candele dobbiamo parlare solo di cera o di profumazioni, o che se siamo una società di consulenza dovremo sfoggiare il linguaggio tecnico da ambiente corporate con il tentativo di darci un tono. Non possiamo nemmeno più pensare che il prezzo sia l’unico fattore determinante di posizionamento: a momenti non lo è più nemmeno per commodity come il dentifricio o le saponette (la prossima volta che vai a comprare prodotti simili facci caso!).
Le persone hanno bisogno di storie, di un rapporto più umano con le marche nelle quali vogliono identificarsi o da cui vogliono farsi ispirare. E questo si può fare solo coltivando un brand.
Un brand crea relazioni durature e profonde
E per finire, mi ricollego alla necessità di relazione e di storie che le persone hanno e che cercano nei brand.²
Non è una novità che le persone abbiano sempre meno fiducia nelle istituzioni politiche, nel giornalismo, in tutto ciò che fino a non troppo tempo fa era ritenuto il riferimento primario di un qualsiasi tipo di impegno. L’acquisto di beni primari o meno non era vissuto come una scelta etica, o almeno non quanto oggi.
In modo progressivo, invece, negli ultimi due decenni in particolare, c’è un’inversione di tendenza: anche grazie all’avvento di web e social, le persone hanno molte più fonti per informarsi, per trovare notizie e per confrontarsi tra loro rispetto ad alcuni temi. Molte istituzioni sono state travolte da scandali anche globali (forse il più famoso è il caso di Cambridge Analytica legato alle elezioni presidenziali USA).
Le persone oggi disinvestono dalla relazione con le istituzioni e cercano nei brand una modalità di interazione più concreta, più umana e personale. Le persone oggi cercano un rapporto di fiducia con le marche, con le realtà da cui comprano prodotti e servizi.
Anche se sembra meno tangibile, posso assicurarti che lavorare con gli strumenti del branding tesse relazioni più profonde e serve a ogni tipo di business: dal personal brand alla grande corporate, dal progetto artigianale al marketplace di e-commerce.
Creare relazioni basate su una comunanza di valori, su storie condivise con le proprie nicchie oggi è il modo più efficace di abitare i mercati, di ogni genere. Il branding è un modo fomidabile di farlo, di far poggiare una strategia su basi solide, come le relazioni che vogliamo costruire con le nostre persone.
Lavorare sul brand non è qualcosa che possono permettersi solo le grandi multinazionali: a ogni livello è possibile farlo, basta solo trovare la formula giusta.
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Fonti:
¹ Messy Middle sul blog di Google
² Report di Edelman Trust del 2021, sulla fiducia nelle marche come nuovo valore dominante
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