Chi ha uno spazio sui social con cui promuove la propria attività o vuole creare una community, sa che le rubriche social sono uno strumento molto efficace per creare engagement. Cioè coinvolgimento, condivisione e anche divertimento. E questo è stato anche il mio primo proposito quando ho ideato la rubrica di cui ti racconto in questo post: creare contenuti legati da un filo rosso, che potessero coinvolgere le persone su diversi livelli e ampliare il raggio d’azione del mio account Instagram.
Poi mi sono resa conto che, più ancora dell’engagement, ciò che mi spingeva era un’esigenza di riporre i lustrini e i trionfi esibiti in grande quantità sui social, specialmente su Instagram, per provare a tornare a una dimensione più colloquiale e quotidiana dei nostri mestieri, della nostra presenza su questi canali. Portare il dialogo su un livello più “umano”, senza considerare i follower, la popolarità, la convenienza o altri fattori che potremmo includere tra le cosiddette vanity metrics. Tutto ciò che volevo era concretezza, semplicità, uno spazio in cui condividere difficoltà, problemi o anche solo temi che sono difficili da far comprendere a parte del nostro target, ma importanti per poter svolgere il nostro lavoro secondo i nostri valori. Ecco il vero perché che sta dietro 30 minuti di normalità.
Se hai notato che parlo al plurale, non sono diventata matta e ti spiego subito il perché. L’idea mi ronzava in testa da mesi, ma prende forza in bozze tra agosto e settembre 2021. Queste bozze , con un po’ di limature, si trasformano nel progetto finale: dirette di 30 minuti a cadenza settimanale (di solito il lunedì), ognuna con unə ospite che porta un tema. Così, insieme al brief, ho inviato i primi inviti e pian piano costruito una lista di professioniste che hanno condiviso con me e con il proprio pubblico una serie di difficoltà pratiche, esistenziali e tecniche su campi diversi: artigianato, filosofia, comunicazione e altro, in questa rubrica che ci ha accompagnato fino alla fine dell’anno.
Perché creare una rubrica social?
Abbiamo già nominato l’engagement tra le motivazioni alla base di una rubrica sui social. Cioè riuscire a coinvolgere più persone possibili, far loro condividere il contenuto e, perciò, arrivare a un pubblico ancora più ampio. Mi sento di dire che la maggior parte delle rubriche social annovera metriche legate all’engagement, o forse meglio dire ai numeri del riscontro immediato.
Un altro motivo per cui creare una rubrica social può essere il posizionamento: per cosa vuoi che le persone si ricordino di te? Per cosa vuoi che ti cerchino? Quali valori vuoi che il tuo brand veicoli?
Scegliere un tema che sia rappresentativo di ciò che fai e di come lo fai, è un buon modo per trasmettere al tuo target chi sei, come ti differenzi e che valore aggiunto puoi portare. Ecco, qui non si tratta di numeri e riscontri immediati, ma di guardare al lungo periodo.
Qualsiasi sia il motivo per cui vogliamo creare una rubrica sui nostri canali social, la guida resta sempre una: il piano editoriale.
L’importanza del piano editoriale
Il piano editoriale è lo strumento che guida le attività di comunicazione di aziende, brand, professionistə. Non sto parlando del calendario editoriale (quello serve per sapere quando pubblicare cosa) ma di una visione più ampia e di insieme della comunicazione, sulla base di obiettivi finanziari e di marketing. Un piano editoriale tiene in considerazione i valori, la vision, la mission insieme a obiettivi concreti di breve e lungo periodo. Dà indicazioni sui canali da usare e il tipo di contenuti da creare.
Nel mi caso, io avevo già in mente di voler fare un ciclo di dirette e lo avevo segnato sul piano editoriale, dovevo solo trovare la forma più consona. Nel caso di #30MdN, le ho scelte per due motivi principali:
- una questione più strategica e legata alle dinamiche del canale, dato che il formato video è senza dubbio quello che Instagram preferisce ora;
- il video era un modo per essere presente di persona sul canale e portarci dentro condivisione, concretezza e gentilezza, tutti valori alla base del mio modo di lavorare.
Sentivo l’esigenza di dar loro una forma nuova e farli percepire dalle persone che hanno accettato il mio invito in primis, dal pubblico poi e, più ampiamente, dal mio target.
Un po’ di analisi e cosa mi hanno insegnato i #30MdN
Dal punto di vista dei numeri, il mio profilo Instagram è cresciuto in maniera costante. In secondo luogo, aspetto più importante di tutti, la crescita è stata qualitativamente importante per me. Da una rapida analisi mi sono resa conto che questa rubrica mi ha fatto conoscere a persone nuove e in target, cioè potenzialmente interessate ai miei servizi o con con cui poter imbastire collaborazioni in futuro.
Da un punto di vista più personale, invece, ho deciso di raccontare qui di questa rubrica anche per altri motivi: condividerne la genesi e cosa l’ha spinta, dare spunti utili su cosa sia una rubrica e a cosa serva, e più di tutto per mettere nero su bianco le cose preziose che mi ha lasciato ogni ospite che mi ha fatto l’onore di partecipare. Non è retorica quando dico che ho imparato moltissime cose e sono grata a ognuna di loro.
Ecco, nel dettaglio, cosa intendo.
Il difficilese
Ho inaugurato la rubrica a settembre 2021 con una collega. Insieme a Eleonora Pellegrini, copywriter, abbiamo parlato di difficilese: quella lingua fatta di forme complicate, orpelli lessicali o termini iper tecnici. Un linguaggio oscuro che è comune a enti e amministrazioni, ma anche a molte (troppe!) aziende ancora oggi. Compito di chi fa il nostro mestiere è aiutare a semplificare la lingua, renderla più fruibile ed efficace, ma soprattutto più umana. Eleonora ha condiviso con noi i nodi maggiori del difficilese e qualche spunto per affrontarli.
Da lei ho imparato che sono in ottima compagnia nel portare avanti questa battaglia verso una lingua più gentile e che è una battaglia necessaria per una comunicazione di qualità.
Cambio mestiere
La seconda puntata è stata quella che ha visto ospite Enrica Panà, fotografa con il pallino per gli scatti street, le color palette e le serie tv. Enrica ha raccontato le difficoltà che ha trovato nel passaggio dal mestiere di avvocata, che ha svolto per un po’ di anni, a quello di fotografa. Ostacoli pratici ed emotivi, ma anche molti progetti e spirito d’iniziativa per mettere in atto il cambiamento liberandosi delle paure.
Da Enrica ho imparato che è giusto rivendicare la dignità dei lavori creativi e trovare un modo per preservare l’energia e la spinta creativa.
La solitudine lavorativa
E a proposito di mestieri creativi, Jennifer Peddio è un’artigiana che crea candele profumate, ma sarebbe meglio dire che crea piccoli mondi in cui immergersi e mettere in pratica la filosofia Hygge. Il suo brand, non a caso, si chiama Hyggekrog ed è un mondo colorato, lento e confortevole. Eppure, dietro questi colori delicati, la crescita continua e le tante idee che Jennifer propone sul suo shop, ha condiviso con noi anche quanto le pesi lavorare da sola. Il lato positivo di avere massima autonomia si scontra con quello che avrebbe bisogno di scambio e confronto strategico con chi è del mestiere e che spesso manca. Un classico esempio di come, per far crescere un’attività, ci siano lati belli e altri che possono anche metterci in crisi.
Da Jennifer ho imparato che, nonostante questa difficoltà, dobbiamo anche avere il coraggio di osare e accettare un possibile insuccesso, perché il tempo e l’esperienza ci ripagheranno.
Il linguaggio inclusivo
Un’altra punta e un’altra collega, copywriter e social media strategist, che ha a cuore il linguaggio inclusivo. Con Michela Del Zoppo proprio di questo abbiamo parlato in diretta. Un’introduzione al vasto concetto di linguaggio inclusivo e un cenno a quanto lavoro ci sia da fare per far capire che non è solo una questione di *, ə o comunque relativo a questioni di genere. E anche che non riguarda solo grandi brand o istituzioni, ma ogni persona e attività, anche piccolissima, perché oltretutto l’inclusività è un tema che spinge dal basso. Inclusività vuol dire rispetto e cura.
Da Michela ho imparato che parlare, pensare e scrivere in modo inclusivo è un percorso in continua evoluzione.
Filosofia, in pratica
Se c’è un aspetto problematico di chi ha scelto la filosofia come professione, è proprio far capire cosa sia, nella pratica, il suo mestiere. E questo è ciò che ha condiviso con noi Manuela Limonta, filosofa e mentor, che ci ha raccontato quanto sia stato difficile anche per lei trovare il modo di portare la filosofia nel mondo del lavoro. Manuela ha condiviso con noi cosa può fare la filosofia per le persone e, soprattutto, per aziende e liberə professionistə. La filosofia come atteggiamento della mente, come approccio alle complessità della vita, per una progettualità e una visione di lungo periodo.
Da Manuela ho imparato che la consapevolezza profonda di ciò che si fa si ottiene con l’amore per il ragionamento, ed è sempre la strada per poter restituire al mondo un grande valore aggiunto.
Artigiana e dipendente
Nella società della performance in cui siamo immersə, fare due lavori in parallelo potrebbe sembrare qualcosa per cui appendersi una medaglia al petto. E per certi versi lo è, nel senso che ci vuole un grande coraggio e tanta consapevolezza per fronteggiare le tante difficoltà. Ce le racconta Elena Maisola, creatrice, mente e cuore di Miscel Ma Bel, un brand artigianale che crea miscele di tè dal mondo con fiori, frutta e spezie, per un mondo più lento ma più pieno. Elena ha un lavoro a tempo pieno e cresce il suo brand nel resto del tempo. Per ovvie ragioni il suo progetto artigianale cresce più lentamente e, sempre per la società della performance, questo può suonare come un insuccesso. Non è così, naturalmente, e il brand di Elena ci conferma quanto sia una constatazione sbagliata.
Da Elena ho imparato che quando un progetto è solido e la visione salda, il tempo in cui cresce è solo un dettaglio.
Social per persone introverse
Possono le persone introverse (magari anche timide) usare i social con soddisfazione? Vi svelo già da ora che la risposta è sì, ma lo spiega ancora meglio Marilena Vescio, che da social media manager e persona introversa ha molto da dire sul tema. Insieme abbiamo chiacchierato di cosa voglia dire essere persone introverse e di come i social possano essere degli strumenti formidabili se usati con consapevolezza, sia a livello personale che come piattaforma di marketing e promozione.
Da buona introversa, ho amato molto questa diretta e da Marilena ho imparato che conoscere gli strumenti (e conoscerci come persone) ci permette anche di usarli davvero nel modo migliore per noi.
Creatività, processi e artigianato
Il penultimo appuntamento di #30MdN mi ha visto a tu per tu con un’artigiana di lunghissima esperienza, mia concittadina, oggi creatrice di un brand di design che parte dai gioielli per definire il proprio universo concettuale e creativo. Alba Chiara Orlando e il suo brand ACO prendas hanno condiviso con noi qualche dettaglio su come può aver luogo un processo creativo, e soprattutto quanto sia comune avere degli imprevisti in fase di realizzazione. Spesso, proprio un intoppo può far evolvere il progetto in modo ancora migliore rispetto al progetto originario. Infine, qualche consiglio a chi è alle prime armi.
Da Alba Chiara ho imparato che sapersi prendere tempo di fronte a un imprevisto è un atto coraggioso e che può portare solo buoni frutti.
Accessibilità e rappresentazione
Questa stagione di dirette veloci e densissime si chiude con un’altra collega, copywriter e content writer. Silvia Ghisi, una lunga esperienza da ufficio stampa e un impegno per rendere la comunicazione accessibile e rappresentativa delle molteplicità. E proprio di accessibilità e rappresentazione abbiamo parlato nei 30 (abbondanti) minuti insieme, in cui abbiamo visto quanto l’accessibilità digitale sia un aspetto che non possiamo più rimandare anche se non è sempre facile farlo comprendere, specie alle piccole e piccolissime realtà. E che avere uno sguardo più aperto e interessato alla rappresentazione di persone disabili, grasse, di etnie diverse da quella caucasica, non per forza eterosessuali e così via non è politicamente corretto, ma soltanto uno specchio di quella che è la società. La società che viviamo ogni giorno nel nostro strampalato mondo globale e globalizzato, che non aspetta altro se non essere raccontata per ciò che è.
Da Silvia ho imparato che il vero privilegio dovrebbe essere solo quello di poterci occupare di fare spazio a chi ne ha meno di noi.
Spero tanto che queste dirette e questa carrellata qui, ti e ci ricordi che ogni attività ha tempi e modi differenti, ma tutte sono accomunate da aspetti problematici. Tutte, davvero tutte, nessuna esclusa. E anche che condividerli non fa di noi persone sfigate, ma esseri umani che sanno trovare forza nelle criticità, che è un passaggio che fa parte della quotidianità. I lustrini li teniamo per altre occasioni, in questo spazio portiamo solo storie piene di imperfezioni e per questo bellissime. Non vedo l’ora di scrivere il prossimo capitolo di questa rubrica, perciò stai nei paraggi, perché ormai ci ho preso gusto!
E se vorresti lavorare su una rubrica per i tuoi social ma non sai da dove cominciare, dai uno sguardo alla mia consulenza dedicata al content marketing, Colonne d’Ercole.
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