La pandemia da Coronavirus che stiamo attraversando, ci offre molti spunti di riflessione sotto ogni punto di vista. Il rischio di infezione da Covid-19, infatti, ci mette di fronte alla necessità di un cambiamento importante e di nuove responsabilità per tutti noi. Ci costringe a leggere il mondo in modo diverso e fa emergere dettagli che prima sembravano di poco conto.
Se gli scienziati sono impegnati a salvare vite umane e mettere al sicuro la nostra salute, gli esperti di comunicazione possono fare altrettanto se sanno veicolare messaggi importantissimi in modo efficace. Grazie alla comunicazione, infatti, abbiamo compreso che i nostri comportamenti quotidiani possono essere determinanti nella gestione del contagio.
I tutorial su come lavarci le mani secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono ormai centinaia. La classificazione delle mascherine e chi deve usarle la troviamo in decine di articoli, interviste, infografiche e chi più ne ha più ne metta. Non si sono fatti attendere nemmeno gli spot sulla distanza di sicurezza da tenere per limitare al massimo il contagio. Per esempio quello voluto da Palazzo Chigi e intepretato da alcuni dei più famosi sportivi italiani: Valentino Rossi, Carolina Kostner, Bebe Vio tra gli altri.
Non ho certo la pretesa di affrontare l’argomento da una prospettiva sociologica, ma ho comunque due osservazioni da fare su come è stato comunicato il concetto di distanziamento sociale nelle ultime settimane.
Distanti ma uniti
Lo spot che abbiamo appena visto ha anche un hashtag: #distantimauniti. Significa che adesso è importante che stiamo distanti fisicamente e per farlo, al contrario, dobbiamo sentirci e agire tutti uniti. Trovo questa comunicazione molto ben fatta, perché in modo molto chiaro fa passare questi due concetti semanticamente contrapposti, ma complementari. Spiega in modo efficace che la distanza tra noi deve essere solo fisica.
Non sempre ho trovato questa efficacia nelle tante comunicazioni sull’argomento, soprattutto a livello internazionale. Il perché lo rintraccio nelle parole scelte per farlo. In inglese è stata usata molto l’espressione social distancing. Letteralmente la possiamo tradurre come distanziamento sociale.
Premetto che conosco l’inglese molto bene, ma mi sono comunque chiesta se ci fosse una barriera linguistica che non mi permetteva di cogliere una qualche sfumatura. Ho capito, poi, che trovare stonato il concetto di distanziamento sociale non era solo un mio limite.
Se cerchiamo cosa vuol dire, è interessante notare come, per esempio, su Wikipedia la definizione sia preceduta da questa frase: Not to be confused with Social distance or Social isolation. (trad. Da non confondere con distanza sociale o isolamento sociale.) Direi che se c’è la necessità di fare questa premessa, l’impressione che non sia la combinazione di termini più adatta non è solo la mia. Se leggiamo la definizione vera e propria, scopriamo che esplicita essere misure di distanza fisica da mettere in atto per prevenire il contagio. La verità, però, è che senza leggere tutta la definizione, il messaggio che passa resta opaco.
Di certo distanziamento sociale/social distancing assume significati differenti anche in base alle diverse culture. Il fatto che resti un concetto ambiguo, ce lo conferma un intervento della dottoressa Maria Van Kerkhove, rappresentante dell’OMS, in una conferenza stampa del 20 marzo in cui sottolinea:
If I can just add, you may have heard us use the phrase physical distancing instead of social distancing and one of the things to highlight in what Mike was saying about keeping the physical distance from people so that we can prevent the virus from transferring to one another; that’s absolutely essential. But it doesn’t mean that socially we have to disconnect from our loved ones, from our family.
Specifica come l’OMS abbia cominciato a usare in modo sistematico l’espressione distanziamento fisico, anziché distanziamento sociale. Insomma, dobbiamo tenerci a distanza, ma possiamo, anzi dobbiamo usare tutti gli strumenti per restare in contatto e socialmente uniti, ora più che mai. La salute fisica ora è prioritaria, ma quella mentale non va tralasciata e può essere nutrita e migliorata proprio grazie ai rapporti con le persone a cui vogliamo bene.
Visto? Cambiare un termine può quasi stravolgere il senso di una frase.
No ai termini vaghi, sì a esempi concreti
Superiamo la poca chiarezza del concetto, per soffermarci su come mettere in pratica, nel concreto, il concetto di distanziamento sociale.
Vi sfido a fare un piccolo esperimento: ci annunciano lo stato di emergenza e la necessità di prendere provvedimenti. Ci dicono di mantenere le distanze sociali. Che significa? Non dobbiamo toccare nessuno? E qual è la distanza di sicurezza? Dobbiamo rispettarla sempre, in luoghi chiusi e aperti?
Queste sono solo alcune delle domande che potrebbero venirci in mente, perché non sono misure abituali, né fanno parte della nostra cultura. Le distanze socialmente accettate variano anche in base al costume o al temperamento di un popolo, così come le abitudini: strette di mano, baci o abbracci come manifestazione di affetto o di saluto. E, per aggiungere un livello di difficoltà, variano anche da persona a persona: ci sono quelle più “appiccicose” e quelle che non amano essere molto espansive o avere contatti fisici con persone non intime.
Ecco perché è sempre importante, e ancor di più in tempi di crisi, dare messaggi concreti.
Se anche vogliamo usare l’espressione distanziamento sociale, cerchiamo di essere certi che tutti sappiano come si traduca in pratica. Per esempio, come ci suggerisce la grafica qui sopra, usare esempi concreti di come comportarsi, tipo far spesa una volta alla settimana e tutto il resto del tempo stare a casa. Sono parole conosciute, quotidiane, chiare e specifiche. Tutti i livelli culturali sono in grado di capirle, dalle persone con poca alfabetizzazione a quelle con 3 lauree. Ed è importante che sia così, perché – in questo caso – stiamo mandando un messaggio che può salvare vite umane.
Questi esempi ci dimostrano come scegliere le parole da usare sia frutto di un lavoro accurato, certosino, e soprattutto da esperti. Resta fondamentale ricordarci:
- a chi parliamo,
- a cosa serve il nostro messaggio,
- in quale contesto lo diamo.
Copywriter, business writer, UX writer, tutti dovremmo lavorare con questi presupposti in mente sempre. Perché la comunicazione sia piena di significato e valore, non solo in tempo di crisi.
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